mercoledì 29 febbraio 2012

Canzone d'amore


Ho sbagliato tante volte ormai che lo so già
che oggi quasi certamente sto sbagliando su di te,
ma una volta in più che cosa può cambiare nella vita mia.
Accettare questo strano appuntamento è stata una pazzia,
sono triste tra la gente che mi sta passando accanto.
Ma la nostalgia di rivedere te è forte più del pianto,
questo sole accende sul mio volto un segno di speranza.
Sto aspettando quando ad un tratto ti vedrò spuntare in lontananza:
amore, fai presto, io non resisto, se tu non arrivi non esisto, non esisto, non esisto.
È cambiato il tempo e sta piovendo, ma resto ad aspettare,
non m'importa cosa il mondo può pensare, io non me ne voglio andare.
Io mi guardo dentro e mi domando, ma non sento niente,
sono solo un resto di speranza perduta tra la gente.
Amore è già tardi e non resisto, se tu non arrivi non esisto, non esisto, non esisto.
Luci, macchine, vetrine, strade tutto quanto si confonde nella mente,
La mia ombra si è stancata di seguirmi il giorno muore lentamente.
Non mi resta che tornare a casa mia, alla mia triste vita.
Questa vita che volevo dare a te l'hai sbriciolata tra le dita.
Amore perdono ma non resisto, adesso per sempre non esisto, non esisto, non esisto.

martedì 28 febbraio 2012

Scene dalla vita.

Un piccolo esperimento letterario autobiografico.
Su indicazione di Damiano Giacomelli, uno dei responsabili delle Officine Mattòli di Tolentino, al momento l'unica Scuola di Cinema delle marche presso la cui sede sto svolgendo un corso di filmaking e regia, ho buttato giù alcune "scene" tratte dai miei ricordi. Queste serviranno a Damiano per conoscermi meglio e così ho pensato che lo stesso potranno fare coloro che già mi conoscono in rete oppure coloro che passeranno qui per caso.


L’aria è tiepida a maggio e la bicicletta corre piano lungo la strada che costeggia i campi. Mi guardo intorno, attento, mentre papà mi descrive quello che i nostri occhi guardano in quel momento. I miei occhi sono sempre sgranati davanti alle meraviglie che sfilano davanti a me. Guardo davanti e poi in basso. La bicicletta corre al centro della carreggiata e la striscia intermittente che la divide in due cattura la mia attenzione, dandomi il senso della velocità. (Avevo circa cinque anni ed ero seduto in un piccolo seggiolino fissato al manubrio della bicicletta di papà).
                                                                                                         


Papà nuota poco lontano da me, un po’ più a largo. Ogni tanto si ferma e si volta verso di me e mi invita a lanciargli la piccola nave in plastica con cui sto giocando. Lui la raggiunge a nuoto e poi me la rilancia. Il tiro non è molto preciso e per afferrarla mi sporgo di lato, perdendo l’equilibrio. Affondo nell’acqua. Non so nuotare e vado giù di sasso. Mi manca il respiro. Non sento più nulla. L’acque comincia a entrarmi in gola. La mano di papà mi afferra per i capelli e mi tira fuori con un doloroso strattone. Mi abbraccia e cerca di consolarmi, mentre mi abbandono ad un pianto disperato, tossendo e sputando l’acqua.
                                                                                                         


Papà sta leggendo un libro su di una panchina nel parco di Parma. E’ molto caldo e il sole è alto a luglio. Tutto intorno è un gracidare di cicale e l’aria è immobile. Sto pedalando con forza sul triciclo e il movimento d’aria sul viso mi fa piacere. Chiudo gli occhi e non vedo un piccola buca sull’asfalto del vialetto. Il triciclo si impunta e si rovescia di lato. Cado e mi sbuccio un ginocchio. Vedo il sangue rosso sgorgare e scoppio a piangere mentre papà accorre subito e con un fazzoletto mi tampona la ferita cercando di consolarmi. Ma continuo a piangere ancora per un po’.
                                                                                                         

Aprile ed è già caldo a Civitanova. Con papà sto passeggiando sul lungomare che dal fosso Castellaro va verso nord. In quel tratto ci sono diversi cantieri che costruiscono barche da pesca e da diporto. Passando accanto ai capannoni, sento le seghe a circolari che stanno tagliando grossi tronchi di legno. Mi arriva forte alle narici il profumo del legno appena tagliato. Chiaro, netto, inconfondibile (E’un odore che ancora ricordo e che non ho mai più avuto il piacere di sentire con quella stessa intensità).
                                                                                                         

Mi piace quando papà accelera in prossimità del dosso: quando ci passiamo sopra sembra di stare sopra l’otto volante! Mamma fa finta di essere divertita, ma in realtà è un po’ preoccupata. L’auto sfila veloce lungo la strada e poco più avanti, nel tragitto tra Mensa Matellica e Cervia, ecco che i miei occhi di bambino incontrano le montagne di sale accumulate ai margini delle  antiche saline. E’ un paesaggio surreale per me quella distesa  d’acqua bassa dove staziona in permanenza una moltitudine di gabbiani a 10 chilometri dal mare.
                                                                                                         

Siamo tutti raccolti attorno al professore di musica. Cinque in tutto. Il solfeggio è la parte della lezione che non riesco a sopportare, mentre l’esercitazione con la chitarra è quella che più mi piace. Il professore intona il motivetto con l’organo e noi gli andiamo dietro con gli accordi. E’ stata mamma a iscrivermi a questa scuola privata perché il maestro Latini è una vecchia conoscenza di papà quando lui insegnava a Potenza Picena. Il prossimo anno farò la terza media e già penso che per il diploma chiederò ai miei genitori di comprarmi una chitarra elettrica.
                                                                                                         

E’ sempre un problema trovare un posto dove provare. A casa mia non possiamo più perché nel condominio si sono lamentati. Eppure noi possiamo trovarci solo la sera dopo cena. E così andiamo peregrinando a destra e a sinistra per trovare un buco. Ma questa sera non abbiamo trovato nulla di meglio che le scalette a ridosso di uno degli edifici del Lido Cluana. Siamo all’aperto, ma in giro non c’è quasi nessuno e così, forse, possiamo provare in pace qualcuno dei nostri pezzi. E’ febbraio e fa un freddo cane, A malapena riesco a muovere le dita sulla chitarra e la voce è strozzata dall’aria gelida. Suoniamo solo una ventina di minuti e poi smettiamo anche perché qualche passante, incuriosito, si è avvicinato per vedere chi è quella manica di svitati che di notte e con quel freddo sta suonando canzoni cilene e peruviane.
                                                                                                         

Finalmente il giorno è arrivato. Parto per Merano! In treno e da solo, per la prima volta. E’ un viaggio che d’estate ho fatto molte volte, ma sempre accompagnando mamma e nonna. Ma quest’anno mamma ha deciso di mandarmi avanti da solo, lei ha da fare ancora con la scuola ed io il prossimo anno farò la Maturità. Mi è sempre piaciuto andare a Merano da nonna Maria e quest’anno ho un motivo in più per essere contento. Mi sembra un anticipo di quella maggiore età che sto sognando da tempo. Salgo sul treno, ma poi debbo scendere ad Ancona per prendere l’altro treno che mi condurrà fino a Bolzano. Da qui un altro treno mi porterà fino a Merano. Alla stazione di Ancona ho da aspettare quasi un’ora e così ne approfitto per raggiungere un’edicola appena fuori della stazione, dall’altra parte della strada, per cercare qualche romanzo della serie Urania (fantascienza). Sono più che fortunato perché l’edicolante ne ha una ventina che non ho mai letto. Li compro tutti e appena salito sul diretto per Bolzano mi metto subito e leggere.
                                                                                                         

Anche oggi mi ritrovo a fare l’apertura in radio. Il fatto che sia disoccupato, dopo il diploma, mi consente di godere di una certa libertà. I miei genitori mi hanno tacitamente concesso una specie di anno sabatico in cui dar sfogo alla mia passione per le radio libere. Sto vivendo una stagione importante della mia vita. Sento che forse non ne trarrò nulla di costruttivo, come lavoro, ma sicuramente quando riuscirò a trovare un lavoro questo tempo che sto vivendo sarà stato importante. Do un’occhiata al calendario: 9 maggio 1978. Comincio a mandare dischi leggendo e commentando, tra una canzone e l’altra, le notizie sulle pagine locali dei quotidiani. All’improvviso suona il telefono: è Nazzareno che mi dice con voce grave che è appena passata la notizia sul giornale radio RAI che è stato ritrovato in un’automobile il cadavere di Aldo Moro. Mi dice di sospendere la programmazione, di dare la notizia e di trasmettere solo musica classica. Frastornato, chiudo il telefono e faccio come ha detto.
                                                                                                         

Sto guardando per l’ennesima volta “Caccia ad Ottobre Rosso” in televisione. La cucina si è raffreddata: i termosifoni si sono spenti alcune ore fa, ma, un po’ per il panettone che sto mangiucchiando, un po’ per i vestiti pesanti, non me ne rendo conto. D’un tratto suona il cordless che ho sul tavolo. Guardo l’ora. E’ passata da poco l’una. Rispondo presagendo il peggio. E’ l’ospedale, una voce femminile dal tono basso ed insolitamente  calma, mi dice di correre subito perché papà sta avendo un’altra crisi e temono il peggio. Di corsa vado a svegliare mamma  che è  andata a dormire da quasi un’ora. Lentamente si riveste ed usciamo nella notte gelida di gennaio. La mia macchina è parcheggiata vicino al portone. Mi avvio, mormorando in silenzio qualche preghiera. Mentre mamma si aggrappa alla speranza che anche questa volta papà ce l’avrebbe fatta, io so, seppur inconsciamente, che non lo troveremo in vita.
                                                                                                         

Alzo lo sguardo verso il piccolo neon blu che illumina fiocamente la stanza dell’ospedale. Le donne nei quattro letti della stanza dormono, come la badante accanto al letto vicino alla finestra. Sulla poltroncina ai piedi del letto di mamma mi copro meglio con la copertina per quella prima notte di veglia. Mamma dorme, o almeno sembra assopita. Ogni tanto la guardo con rassegnazione. Apro il cellulare e comincio a scrivere un sms a mia zia Lidia, la sorella di mamma. Loro non si parlano da un po’ di tempo per delle motivazioni che io, francamente, non capisco tanto sono banali. Qualcosa in me mi dice che questa notte è l’ultima che passo insieme a mamma, ma l’irrazionale desiderio di sbagliarmi riesce a tenermi lucido mentre scrivo quel lunghissimo sms, cercando di far capire a mia zia che è venuto il tempo di una loro riconciliazione. Chiudo il telefono. La mia mente vaga nei ricordi di una vita, cercando di soffermarmi sui momenti più belli trascorsi insieme. Il tempo sta passando, ma a volte mi sembra che sia immobile. Penso e prego e i pensieri e le preghiere si confondono in un unico fluire. Le prime luci del nuovo giorno filtrano dalla finestra. Non voglio che questa notte finisca. Una parte di me sa che è tutto quello che mi rimarrà di mamma.

lunedì 20 febbraio 2012

Officine Mattòli


Sabato scorso è cominciata la mia nuova avventura, un corso di filmaking. Dopo aver tanto cercato qualcosa del genere in Italia nel corso degli ultimi mesi, finalmente si è materializzata un'occasione per merito di uno spot radiofonico ascoltato distrattamente in auto.

E' proprio vero che a volte si cerca lontano quello che si ha vicino: Tolentino, sede delle officine Mattòli, è a mezz'ora di superstrada da Civitanova Marche.

Sono tre i corsi che hanno preso il via: filmaking, appunto, sceneggiatura e recitazione cinematografica. Mi impegnerà quasi tutti i fine settimana fino a maggio e al termine ci sarà la presentazione di un corto di fine corso che, se sarà scelto, verrà poi prodotto in un periodo successivo.

Per la verità ho da tempo un po' di materiale che stavo raccogliendo per la stesura di un articolo e, dato che questo corto dovrà avere una forte connotazione col territorio, questa mia ricerca, iniziata e poi sospesa, può essere molto importante per la creazione di un soggetto.